DOMENICA 8 DICEMBRE 2024
IMMACOLATA CONCEZIONE (Gn 3,9-15.20; Dal Sal 97 (98); Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38)
08.30 NOZZA S.MESSA
10.00 VESTONE S.MESSA con la presenza degli Alpini
(Intenzioni: Vanna, Bruno, Santina ed Edoardo)
18.00 VESTONE S.MESSA
(Intenzioni: def.to Mario)
------
09.30 COMERO - Oratorio ABCF S.MESSA
09.30 MURA S.MESSA
LUNEDI' 9 DICEMBRE 2024
S. Siro, vescovo bresciano (m)
09.00 VESTONE S.MESSA
10.00 NOZZA Ricovero S.MESSA
------
08.30 MALPAGA S.MESSA
MARTEDI' 10 DICEMBRE 2024
09.00 NOZZA Cappellina S.MESSA
------
20.00 BRIALE - S.Carlo S.MESSA
MERCOLEDI' 11 DICEMBRE 2024
09.00 VESTONE S.MESSA
------
18.00 POSICO - S. Domenico S.MESSA
GIOVEDI' 12 DICEMBRE 2024
85° Anniversario della morte del Ven. Giovanni Battista Zuaboni
17.00 LAVENONE S.MESSA
------
17.00 ALONE S.MESSA
18.00 AURO S.MESSA
VENERDI' 13 DICEMBRE 2024
Santa Lucia, vergine e martire (m)
09.00 VESTONE S.MESSA
------
18.00 CASTO Addolorata S.MESSA
SABATO 14 DICEMBRE 2024
S. Giovanni della Croce, dottore della Chiesa (m)
11.00 NOZZA - Ricovero S.MESSA per il Natale degli anziani
17.00 LAVENONE S.MESSA
18.00 NOZZA S.MESSA
19.00 PROMO S.MESSA
(Intenzioni: Paolo, Alice, Eugenio e Marì)
21.00 ORATORIO S.MESSA (Neocatecumenali)
------
18.00 CASTO S.MESSA
19.15 AURO S.MESSA
DOMENICA 15 DICEMBRE 2024
III DOMENICA di AVVENTO "GAUDETE" (Sof 3,14-17; Da Is 12,2-6; Fil 4,4-7; Lc 3.10-18)
08.30 NOZZA S.MESSA
10.00 VESTONE S.MESSA con benedizione delle tessere dell'Azione Cattolica
15.00 LAVENONE Ora di guardia (S.Rosario)
18.00 VESTONE S.MESSA
------
09.30 COMERO - Oratorio ABCF S.MESSA
09.30 MURA S.MESSA
ALTRI APPUNTAMENTI
Per tutto il tempo di Avvento: dal lunedì al venerdì alle ore 06.30 ci sarà la preghiera delle LODI presso la Cappellina di NOZZA.
DOMENICA 8 DICEMBRE: ore 20.30 presso la Chiesa di LAVENONE: “Concerto GOSPEL”.
Per questa serata ci sarà un’apertura straordinaria della BANCARELLA DI NATALE.
MARTEDI’ 10 DICEMBRE: ore 20.30 in oratorio a VESTONE: Incontro “ConsigliOratori”;
MERCOLEDI’ 11 DICEMBRE: AVVENTO GIOVANI – ore 19,30 nella cappellina dell’oratorio di VESTONE:
Momento di preghiera (Vespri) per giovani;
GIOVEDI’ 12 DICEMBRE: ore 17,00 nei pressi dell’oratorio di VESTONE: Fiaccolata e arrivo di Santa Lucia;
ore 20,30 “In ascolto della Parola di Dio” presso la Chiesa di VESTONE;
SABATO 14 DICEMBRE: dal pomeriggio “Starlight” per gli adolescenti di tutta la nostra diocesi a Verona;
DOMENICA 15 DICEMBRE: nel pomeriggio, in oratorio a VESTONE: Ritiro d’Avvento per Catechisti, Membri dei Consigli, e Adulti delle parrocchie dell’Alta Valle Sabbia.
Dalla Lettera Pastorale del Vescovo sul Battesimo.
la QUARTA DOMANDA:
COSA SIGNIFICA CHE IL BATTESIMO TOGLIE IL PECCATO ORIGINALE?
Il peccato come questione seria
Dobbiamo anzitutto dare alle parole il loro giusto significato. Nella lingua ebraica la radice del verbo peccare porta in sé un’idea piuttosto precisa, che può essere esplicitata così: fallire un bersaglio, non raggiungere un obiettivo e, conseguentemente, prendere una direzione sbagliata. Se in gioco vi è il senso della vita, intuiamo bene che la questione diventa seria. La Parola di Dio ci dice che in effetti è così: il peccato ha a che fare con la vita stessa. Nell’orizzonte biblico peccare significa fallire l’obiettivo della vita, non coglierne tutta la verità e non gustarne tutta la bellezza. Significa muoversi, per lo più inconsapevolmente, in una direzione totalmente diversa e anzi opposta a quella che si dovrebbe intraprendere per avere la vita e dirigersi pericolosamente verso la morte. Si è visto come la morte debba essere intesa alla luce della Parola di Dio: essa è la corruzione della vita, la sua triste caricatura, che trascina con sé una paura paralizzante. Ora, dunque, possiamo aggiungere che la morte proviene dal peccato, che del peccato è l’effetto, la conseguenza, il frutto.
Che il peccato non sia una teoria lo dimostra l’esperienza stessa, in modo drammatico. Si tratta semplicemente di riconoscerlo in ciò che accade nel mondo ogni giorno e da sempre, cioè nello spettacolo sconcertante del male di cui l’uomo si rende responsabile. La constatazione di quello che regolarmente succede, di generazione in generazione, si trasforma nella drammatica domanda da cui nessuno può sfuggire: perché l’uomo fa il male? Perché l’odio, la gelosia, la crudeltà tra persone che appartengono allo stesso genere umano? Perché uccidere, rubare, distruggere senza pietà? Perché offendere la dignità, profanare gli affetti, impadronirsi con la forza di ciò che è di altri? Perché approfittare del debole invece di soccorrerlo? Perché accumulare senza scrupoli ricchezze enormi a proprio esclusivo vantaggio? Perché le notizie false, le accuse menzognere, le calunnie, la derisione di chi è più fragile? Perché questo triste scenario di morte?
Siamo stati abituati a usare la parola peccato più al plurale che al singolare. Negli ambienti ecclesiali, ma non solo, si parla spesso dei peccati, intendendo con questo termine le azioni moralmente gravi, di cui è doveroso assumersi la responsabilità. Si è molto insistito sull’azione in sé, sulla sua valenza negativa, sulla sua contrarietà alla volontà di Dio. Ci si è meno interrogati su come si giunge a compiere i peccati e qual è il processo che vi conduce. Ciò che più stupisce, quando si interroga la Parola di Dio su questo argomento, è il constatare che – in particolare nel Nuovo Testamento – la sottolineatura è posta meno sui peccati e più sul peccato. Ci si sofferma maggiormente sulla realtà che viene indicata dal termine al singolare. Il peccato appare come un qualcosa di enigmatico che ha una sua forza, una potenza che l’uomo percepisce e a cui non riesce a far fronte; una sorta di spinta interiore che il soggetto non sa decifrare, ma di cui fa inesorabilmente l’esperienza e che lo spinge nella direzione opposta a quella della vita, cioè verso il male distruttivo e quindi verso la morte. Ecco cosa scrive san Paolo ai cristiani di Roma: «Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto. [ … ] Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuano; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me» (Rm 7,15.18-20).
Paolo descrive qui l’esperienza di chi desidera il bene e tuttavia fa il male, come soggiogato da una oscura energia che fatica a comprendere. Vi è però anche il caso di chi, nell’esercizio della sua libertà, non desidera fare il bene ma si è ormai consegnato al male e ha dato alla sua vita la forma della morte. È il caso estremo in cui la libertà personale si identifica con l’intenzione di compiere il male. Il peccato, in ogni caso, mantiene il soggetto umano, per così dire, sotto un costante attacco, lo sollecita al male, tende a convincerlo della sua legittimità e anzi della sua opportunità, facendogli credere di trovare la vita compiendo delle scelte che invece la rinnegano. Un clamoroso inganno si consuma nel nostro intimo, insieme a una sorta di blocco, una paralisi della volontà di cui, per altro, non sempre abbiamo coscienza. C’è dunque bisogno di una liberazione.
Un cuore nuovo
L’apostolo delle genti è colui che più di tutti ha riflettuto sull’esperienza del peccato. Lo ha fatto proprio a partire dalla sua vicenda personale. Egli sapeva di essere stato sottratto a una vita intaccata dal peccato. Nella Prima Lettera a Timoteo così scrive: «Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io» (lTm 1,15). Poco prima si era qualificato come «un bestemmiatore, un persecutore e un violento» (lTm 1,13). La sua è stata un’esperienza di salvezza, cioè di liberazione: l’amore del Cristo risorto lo ha raggiunto sulla via di Damasco e lo ha accompagnato poi per tutta la vita. È infatti la grazia di Dio, accolta nella fede, che vince il peccato. La stessa legge – spiegherà bene san Paolo – è impotente di fronte al peccato. La legge infatti – anche quella di Dio – fa conoscere ciò che è bene ma non offre alcun aiuto per riuscire a compierlo e non è in grado di contrastare l’oscura forza interiore che induce l’uomo a fare il male (cfr. Rrn 3,20). Inoltre, la legge scatena la rabbiosa reazione della libertà, che non sopporta di doversi sottomettere a un comando che proviene dall’esterno (cfr. Rm7,7-8). È dunque necessaria una profonda rigenerazione interiore.
La Scrittura fa ben capire la natura dell’intervento risanante ad opera della grazia, mettendo in evidenza il ruolo che in tutto ciò ha il cuore dell’uomo. È dal cuore che si deve partire
per comprendere ciò che accade quando si pecca. Le azioni malvage rinviano infatti a decisioni e queste a intenzioni, che a loro volta provengono dai desideri, accompagnati dai sentimenti. Tutto questo avviene nel cuore dell’uomo, cioè in quella dimensione interiore, sostanzialmente segreta, dove tutto si unifica: pensiero, libertà, capacità di decidere, emozione, volontà. Una parola del Signore Gesù diviene a questo riguardo illuminante: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo» (Mc 7,20-23). Cosa fa dunque la grazia di Dio, cioè la potenza del Cristo risorto? Fa dono all’uomo di un cuore nuovo, risanato, ricreato. Ispira desideri che siano conformi al bene e dà la forza di attuarli nelle decisioni e poi nelle azioni. Quanto all’essenza del peccato san Paolo ci insegna che va ricercata in una smodata tendenza a innalzare se stessi, a cercare la propria esclusiva gratificazione, a considerare tutto in funzione di sé. A questo egli allude quando dice che noi siamo carnali (cfr. Rm 7,14). Ci dice inoltre che questa brama ossessiva si scompone in quelle che egli chiama «le passioni ingannevoli» (Ef 4,22) e che si riassumono nelle due maggiori: l’avidità e l’orgoglio. La grazia è questa forza di attrazione al bene che vince la potenza del peccato. Al desiderio sostanzialmente idolatrico e alle passioni distruttive di quest’ultimo si contrappone la piena fiducia in Dio e il rinnovamento del cuore da parte del suo amore. L’intero Nuovo Testamento ci insegna che tale grazia va identificata ultimamente con lo Spirito santo, che Gesù ha inviato perché fossimo per sempre una cosa sola con lui. Come il peccato – e decisamente più del peccato – questa grazia è capace di conquistare l’uomo, senza tuttavia renderlo schiavo, di indirizzarlo coscientemente verso il bene e di abilitarlo a compierlo. La remissione dei peccati andrà intesa in questa prospettiva: non solo come il perdono delle singole colpe, ma come la reale possibilità di non peccare più.